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Meloni è stanca delle “critiche alla manovra”, insomma con le critiche non ce la fanno

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di Giovanna Di Rosa

La presidente del Consiglio è “stanca delle critiche” alla manovra e trascina Palazzo Chigi sulla pericolosa soglia del come si permettono che è sempre un pessimo segno. Se ci sono critiche ci sono criticità evidentemente, dunque piuttosto che insofferenza sarebbe bene manifestare umiltà, perché chi la bicicletta se l’è cercata poi la bicicletta je tocca pedalarsela.

Con tutto il rispetto per il ruolo istituzionale che riveste pro-tempore la nuova leader di tutte le destre, e vedremo quanto starà in sella, pensiamo non oltre le Europee,  la preoccupazione di Meloni non dovrebbe essere quella di prendersela con le critiche alle criticità evidenti della sua manovra, alla pari di taluni dei suoi, ma di pensare a cosa fare a marzo quando ci saranno spese per l’energia di 5 miliardi al mese, dicono le malelingue, e non ci saranno risorse – per ora almeno – per famiglie e imprese (chissà perché penso all’industria del vetro, tra le altre, forse per le temperature altissime che sono necessarie alla sua fusione) e non pensiamo che basteranno un’agenda da liceale con nome e stellina e appuntamento settimanale sui social per far crescere un paese. Le critiche arrivano perché chi di propaganda miracolista ferisce, di quello stesso vizio perisce. Come gli alcolisti, per tornare alla volgare cronaca da strada che tradiscono certe origini nonostante i lifting.

Dicono i pettegoli che Meloni sia furiosa col mondo: con Bankitalia, che ha il pessimo difetto di saper fare i conti; con Bonomi, quasi che il presidente di Confindustria fosse diventato di colpo un pericoloso comunista; con le parti sociali, che hanno la pretesa di fare il loro mestiere senza genuflettersi; i soliti pettegoli dicono addirittura che la parola d’ordine sia “resistere” e rispondere colpo su colpo. Ecco se le cose stanno cose ci preme avvisare il Governo – che non ha bisogno dei nostri avvisi, ma di ben altro – che non basta mandare Roccella in televisione a dire che “il pagamento con il pos crea povertà” ad una categoria di italiani, quasi fossero dei poveri svantaggiati. Qua di fessi non ce n’è. E tutti sanno, perché c’è anche chi legge e s’informa, che sulla questione dei pagamenti elettronici Roma sta trattando con Bruxelles che non è per niente soddisfatta dell’andazzo della manovra. Saranno comunisti irrispettosi anche loro.

Poi succede che Il Sole 24 Ore, perché è faticoso opporsi a chi ha in mano mezzi d’informazione potenti come giornali e radio, cita uno studio di Bankitalia – dove vai te li trovi – che recita: “se commisurato in percentuale del valore della transazione, il costo privato del contante (1,10 per cento) risulta più elevato a causa dei maggiori oneri (variabili) legati alla sicurezza (furti, trasporto valori, assicurazioni)”.

E si capisce la frustrazione. Una nasce, scopertasi missina fa una fatica barbina, poi si converte alla moderna fiamma, si ricostruisce un’immagine, una cultura, cresce all’ombra di giganti dai piedi di balsa, acchiappa al volo l’occasione, studia, si prepara, le spara grosse a suon di grida che mettono gravemente a rischio le sue ancor giovani coronarie e piomba sulla poltrona di presidente del Consiglio sull’onda di un 26,1% del 66% circa dei votanti: e dopo ‘sta faticaccia invece di dirle grazie , riescono persino a starle addosso con critiche, addirittura, documentate.

Capirete che per chi costruisce consenso, governi e manovre su delle mezze verità e su false promesse questo è davvero un colpo basso. Non rimane che incazzarsi. Che è ciò che succede quando si hanno pochi o pochissimi argomenti (come la storiella di Padoan che ormai l’hanno girata e rigirata nonostante siano più numerose le smentite dello stesso Padoan che le bufale montate su una dichiarazione inesistente e ininfluente).

 

 

(6 dicembre 2022)

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