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Stop al giornalismo d’Inchiesta? Perplessità tra richiesta di risposte concrete e impegni in stile elettorale

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di Alfredo Falletti

Il Principe di machiavelliana memoria, una volta ottenuto il potere provvede al suo consolidamento ed è per lui prezioso lo strumento dell’informazione quale mezzo di propaganda autocelebrativa che “guidi” le masse, ma teme che queste possano maturare senso critico e quindi costituire un estremo pericolo per la colonizzazione dei posti chiave del potere da gestire magari come una trattoria a “conduzione familiare”.

Risulta quindi indispensabile gestire l’informazione a proprio vantaggio magari trasformandola in intrattenimento minimizzando le problematiche ed esaltando i buoni propositi come in un capodanno senza fine. Eppure in nome della verità su quanto marcio fosse il sistema sono caduti in tanti e ripercorrere i loro nomi è un aspro sentiero: Giuseppe Alfano, Mauro De Mauro, Giuseppe Fava, Mario Francese, Peppino Impastato, Mauro Rostagno, Giancarlo Siani, Giovanni Spampinato, Walter Tobagi, solo per citarne alcuni. ma sono molti di più. Volevano che verità e informazione fossero patrimonio comune diventando un reale pericolo per chi vive in simbiosi con la miscellanea inscindibile di potere politico corrotto, imprenditoria “disinvolta” e crimine organizzato, tanto da essere eliminati in onore al principio “mors tua vita mea”.

Per quella miscellanea il giornalismo di inchiesta è un pericolo perché mentre la notizia, comunemente intesa, ha la necessità di esser lanciata il più presto possibile anche a doverla poi “aggiustare” in corsa, ed ha una vita solitamente breve, il giornalismo di inchiesta, vive invece di approfondimenti, di ricerca di fonti con tempi anche lunghi – giornalisticamente parlando – perché ha la necessità assoluta che la notizia debba essere non soltanto credibile, ma soprattutto inconfutabile atto di accusa che ben difficilmente si possa “smontare”. Il potere difende se stesso con uno schieramento compatto anche a costo di proteggere, magari in Parlamento, improbabili parentele con leader stranieri, bancarottieri, mafiosi “esterni”, imprenditori spregiudicati, mediatori di ogni genere pur di salvare “tutti gli interessi di tutti”; i loro interessi.

Alcune inchieste hanno assunto particolare importanza e sono state scomode per tanti, ma anche gradite da quel pubblico “consapevole”, perché fonte di grande confronto pubblico e politico e quindi oggetto di tentativi di boicottaggio quando se non di veri e propri interventi a gamba tesa da parte dell’Innominabile potente di turno o da qualcuno dei suoi “bravi”.

Sono tanti i giornalisti caduti per la ricerca della verità.

Giancarlo Siani indagava sugli intrecci tra la classe politica vesuviana e la criminalità organizzata raccogliendo documenti su appalti e piani di ricostruzione “generosamente” finanziati dai fondi per il terremoto.

Mauro De Mauro scomparso nel nulla il 16 settembre 1970, indagava sugli ultimi giorni di Mattei in Sicilia e sul coinvolgimento di soggetti di spicco come Vito Guarrasi ed il senatore della Dc Graziano Verzotto. Sembrerebbe fosse anche riuscito a scoprire i nomi delle persone che conoscevano i movimenti e gli orari dei voli di Mattei che per motivi di sicurezza erano tenuti segreti.

Mario Francese si occupò della strage di Viale Lazio e della strage di Ciaculli a Palermo fino all’omicidio del colonnello Giuseppe Russo. Fu uno dei primi a capire la metamorfosi interna a Cosa Nostra negli anni Settanta, anticipando l’ascesa dei Riina e Provenzano. Indagò sui miliardi arrivati dal Governo per la ricostruzione post terremoto del Belice che interessava le tre province di Palermo, Trapani e Agrigento e scoprì che alla base della guerra tra la vecchia e nuova mafia c’erano soprattutto i soldi stanziati per la costruzione della diga Garcia, un’area nella quale c’erano terreni dei cugini Salvo, legati al democristiano Salvo Lima.

Mauro Rostagno venne ucciso il 26 settembre 1988, per stroncare la sua voce libera e politicamente indipendente, che denunziava il malaffare politico mafioso esortando tutti a liberarsi dalla tirannia del potere mafioso( che proprio nel trapanese si stava rafforzando sempre più) e denunciando le collusioni tra mafia, massoneria, imprenditoria e ambienti di potere.

Di Peppino Impastato si è scritto e detto tanto. Fatto saltare in aria perché denunciava gli affari dei mafiosi di Cinisi e Terrasini e tra questi il capomafia Gaetano Badalamenti, capo della cupola; scoprì i loro reati e il loro ruolo nei traffici internazionali di droga grazie al controllo dell’aeroporto di Punta Raisi. Bum!

Si aggiungono Pippo Fava che indagava sulla mafia in Parlamento; Beppe Alfano che indagava su alcuni omicidi di mafia; Giovanni Spampinato che indagò e mise in luce la mafia nella provincia di Ragusa e fu il primo a scoprire e pubblicare notizie su “Gladio”.

Professionisti dell’informazione e cittadini consapevoli che hanno acceso la luce su scene buie e ruoli anomali nella conduzione della “res publica” e a proposito di servizio pubblico non sono poche le perplessità in ordine al ruolo della “nuova” Rai nell’attività di giornalismo d’inchiesta espresse da Vittorio Di Trapani, Presidente della FNSI, che lancia il dubbio che si tratti solo di un impegno generico dell’AD della Rai Roberto Sergio – un po’ come per le promesse elettorali – così come sono perplessi i Consiglieri Laganà (eletto dai dipendenti RAI!) e la Consigliera Bria in quota PD.

Lo spostamento nella sera di domenica di un programma giornalistico di inchiesta quale Report, la cui conferma nel palinsesto è stata in dubbio per parecchio tempo, alimenta tali perplessità anche tra quel pubblico consapevole che non si soddisfa con le fanfare del “panem et circenses”.

Sembrerebbe voler chiarire la questione il Ministro Urso quando afferma che “…nel Contratto di servizio si fa riferimento al giornalismo di inchiesta nel capitolo dedicato all’informazione come genere specifico per dare particolare rilievo a tutte le modalità che riguardano la valorizzazione della qualità dell’informazione”. Parole dalle quali non si colgono tuttavia risposte dirette e concrete.

 

 

(1 ottobre 2023)

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