di Marco Maria Freddi
Ogni 10 Ottobre, ricordiamo che la salute mentale è parte integrante della salute umana, perché non esiste salute senza salute mentale.
Eppure, dietro le parole ufficiali, dietro gli slogan istituzionali e le campagne social, restano invisibili proprio coloro che di salute mentale avrebbero più bisogno: le persone che vivono per strada.
Chi attraversa ogni notte la città con uno zaino, un sacco a pelo o solo un cartone non ha solo freddo e fame. Porta addosso ferite invisibili: solitudini, traumi, fallimenti, lutti, dipendenze, disoccupazione, perdita di fiducia.
È lì che la salute mentale si consuma, nell’indifferenza collettiva. Non si può curare la mente di chi non ha un letto, non ha un medico, non ha una comunità.
La verità è che la povertà e la salute mentale si alimentano a vicenda. L’una genera l’altra, in un circolo che solo una comunità può spezzare. Ma la comunità, oggi, dov’è? Le nostre città sembrano più interessate all’ordine pubblico che alla cura pubblica. I servizi sociosanitari faticano a raggiungere chi non ha una residenza e spesso non sanno come accoglierlo. Si parla di “piani freddo”, espressione dall’eco anglosassone che tutto dice e poco fa per chi è fragile, ma mai di piani di dignità.
La Giornata Mondiale della Salute Mentale dovrebbe allora ricordarci che la cura non è un privilegio, è un diritto. E che l’unico modo per restituire equilibrio a una persona è restituirle appartenenza. Nessuno guarisce da solo. Servono luoghi di ascolto, non operatori di strada che si limitino a fare censimenti o a distribuire panni e pasti caldi. Serve uno sguardo diverso, non pietoso, non burocratico, ma umano.
“Non c’è carità senza giustizia”
Lo diceva Don Luigi Di Liegro, fondatore della Caritas diocesana, e lo hanno compreso e testimoniato, in modi diversi ma ugualmente coraggiosi, Don Luigi Scaccaglia, Simone Strozzi, Domenico Lucano, Don Massimo Biancalani e, oggi a Parma, Nadia Buetto. A loro va il mio ringraziamento più sincero e affettuoso. Hanno capito ed insegnato che accogliere non è un gesto di generosità, ma un atto di giustizia sociale.
Hanno reso vere le parole di Luigi Pintor: “Chiniamoci dinanzi agli ultimi, i poveri e gli emarginati; aggrappandosi a noi possono rialzarsi.”
È in questo chinarsi che si misura la grandezza di una comunità. È lì che la politica, la fede e la solidarietà si incontrano davvero, nell’incontro con l’altro, nell’ascolto, nella cura, nella responsabilità di farsi carico di chi non può farcela, non secondo regole amministrative, ma secondo regole che avvicinano chi non ha la forza di avvicinarsi.
Forse la vera terapia per la salute mentale collettiva comincia proprio da qui, dal riconoscere chi non vediamo più. Da una panchina, da una stazione, da un volto dimenticato.
Perché prendersi cura degli ultimi è il primo passo per guarire noi stessi.
(9 ottobre 2025)
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