di Daniele Santi
Ho recentemente rivisto su Sky il documentario di Walter Veltroni del 2014, “Quando c’era Berlinguer”, dedicato alla figura del segretario del PCI che era odiato dai sovietici perché troppo filo-americano e mal digerito dagli americani perché troppo filo-sovietico. Chi era Berlinguer lo anno bene coloro che in Italia hanno seguito la storia politica di questo paese.
Non scrivo questo perché sia particolarmente interessato all’apologia di Berlinguer, ma perché sconcertato, una volta di più, dal superficialismo cialtrone di certa italietta che non si smentisce, nemmeno nei brevi ritratti di giovani che nemmeno sapevano chi fosse Berlinguer e che, emozionati dalla macchina da presa, estasiati dal poter fare bella figura, hanno risposto la qualunque alla domanda: “Chi era Enrico Berlinguer?”.
Si è così passati da “Un francese? Certo… Berlinguer, è francese”, dal florilegio di cultura di Jovanotti “Ai tempi doveva esserci Breznev” perché la cultura per il Lorenzo nazionale è più di un’opinione, al fanciullone di destra: “Non ho mai ascoltato le sue canzoni [sic], perché io la penso in un altro modo”. Sono rimasti lì, e non è colpa nostra. Poi il ragazzone, aria altera, “Berlinguer il capo del PCI comunista, al soldo dell’Unione Sovietica” (errore, Signora Longari, i sovietici quasi lo ammazzarono, Berlinguer, ma è un dettaglio) e poi l’indimenticabile “Dove va il documentario? Su Skype? Ah bè. Io non ce l’ho Skype”…
Voleva dire Sky, ma è un dettaglio.
L’ignoranza della nostra storia di cui il documentario, a margine, rende partecipi invece non è un dettaglio. E i risultati li subiamo oggi.
(12 gennaio 2024)
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